Storia sintetica delle lastre fotografiche
La lastra fotografica è un supporto realizzato in materiale sensibile, utilizzato solitamente in negativo per la ripresa di immagini.
Originariamente consisteva in una lastra di vetro su cui veniva applicata un’emulsione fotosensibile di sali d’argento, supporto che, dai primi anni del XX secolo, è stato soppiantato dalla celluloide e poi dalla pellicola fotografica in materiale plastico.
È all’inglese Frederick Scott Archer che si deve, nel 1851, l’intuizione che se su una lastra di vetro veniva spalmato collodio sensibilizzato con nitrato d’argento il risultato era un negativo su vetro più facile da stampare rispetto a negativi su carta.
Questo procedimento, denominato “a lastra umida” o “a collodio umido”, affiancò e infine sostituì tutte le precedenti tecniche fotografiche. È da questo momento, infatti, che i fotografi iniziano a utilizzare lastre di vetro, procedimento che però li obbligava a dotarsi di una tenda per preparare le lastre subito prima dell’esposizione.
Le lastre di collodio, infatti, dovevano essere esposte ancora umide e sviluppate subito dopo. Ciò implicava che, per attività all’esterno, i fotografi, benché organizzati con camere oscure portatili, dovessero trasportare tutti i materiali necessari per la preparazione delle lastre.
È nel 1878 che Charles Harper Bennet scopre che riscaldando a lungo l’emulsione prima di stenderla sulla lastra di vetro, la sua sensibilità aumenta notevolmente.
Ciò permise di preparare lastre molto tempo prima di quando dovevano essere utilizzate e quindi rese il procedimento fotografico estremamente più agevole.
Questa scoperta rese inoltre possibile la realizzazione di fotocamere da usare a mano libera.
La novità interessò immediatamente l’americano George Eastman, fondatore della Kodak, il quale introdusse sul mercato il filmpack, ovvero pacchetti di lastre confezionate che potevano essere estratte dalla macchina fotografica pur rimanendo protette dalla luce da una carta nera.
Fu sempre la Kodak che introdusse la prima pellicola di celluloide trasparente perforata su entrambi i lati utilizzata per la prima cinepresa ed anche, successivamente, la pellicola negativa a colori.
Benché la qualità delle lastre fosse superiore a quella delle pellicole, Kodak riuscì comunque ad allargare il suo mercato fino a conquistare anche quello europeo.
Nel tempo, le lastre in vetro sono rimaste in uso soltanto per applicazioni scientifiche e astronomiche. Considerate di qualità superiore alle pellicole, risultano infatti più stabili e resistenti, soprattutto nei formati più grandi.
È in questo periodo che si sviluppano anche altre importanti aziende fotografiche, quali la Zeiss, la Agfa, la Leica, la Ilford e la Voigtlander.
Nel 1972 la Texas Instruments brevetta la prima fotocamera digitale. È da questo momento che, in fotografia, inizia a diminuire sempre più l’utilizzo della pellicola.
Le lastre hanno avuto un largo impiego in campo medico, soprattutto per quanto riguarda la realizzazione di lastre radiografiche, utilizzate dal momento in cui lo scienziato francese Antoine Henri Becquerel, a seguito della scoperta dei raggi X da parte di Wilhelm Conrad Röntgen, iniziò a fare alcuni esperimenti sui minerali di uranio.
La sua scoperta fu che, se esposti alla luce solare, i minerali di uranio erano in grado di impressionare una lastra fotografica in carta nera posta nelle vicinanze.
Ancora prodotte da alcune delle prime aziende che hanno introdotto sul mercato le moderne pellicole fotografiche, quali la Agfa e la Kodak, le lastre radiografiche sono oggi realizzate con procedimenti e materiali che consentono un contrasto particolarmente netto.
Va però detto che il loro utilizzo sta via via scomparendo dato il sempre più largo utilizzo di dispositivi digitali che non hanno bisogno di supporti negativi.
Anche se ancora nell’uso comune si parla di lastra radiografica, in realtà infatti oggi i risultati degli esami radiologici vengono per lo più consegnati al paziente in formato digitale su supporti quali CD e DVD.